Esiste una sinistra alternativa in Italia? Discute? Si mobilita? Coinvolge? Si organizza? Togliatti oggi direbbe “... per ogni campanile una pagina Facebook ...”?
La sinistra alternativa discute, organizza eventi, si mobilita, fa opinione, coinvolge, inventa leader e opinionisti … in altre parole, è viva. Verrebbe da dire, che per ogni compagno che ha abbandonato il proprio impegno e la propria posizione politica, cento mani abbiano raccolto il fucile abbandonato (o perlomeno la bandiera abbandonata)… verrebbe da dire, perché in realtà le cento mani si sono armate, anzi hanno impugnato, tastiere e mouse, e si sono messe a digitare freneticamente su blog e social network. Forse sarebbe più giusto dire che, la sinistra alternativa è virtualmente viva (che non è la stessa cosa di dire “è viva”). La sinistra oggi offre, nell’immaterialità della rete, in quegli ambienti virtuali e formattati che sono i blog e i social network, tutta la sua vitalità nella costruzione di un’alternativa; un’alternativa molto facile da edificare, perché per contribuirci basta premere il bottone «mi piace».
E a soffiare sul fuoco dei social network, come propulsori reali di rivolte (come quelle degli ultimi mesi nei paesi nordafricani e nel mondo arabo), ci si mettono pure gli opinionisti di mezzo mondo, impegnati a ritagliarsi il loro pezzettino di notorietà. Non c’è dubbio che i social network, e in particolare Facebook, ma anche i messaggi scambiati con Twitter, o le notizie diffuse attraverso Wikileaks, o i video pubblicati su Youtube, hanno qualcosa a che fare con le rivolte nel mondo arabo. Hanno qualcosa a che fare, ma il voler spiegare che quanto sia accaduto o che stia accadendo sia dovuto all’impatto delle tecnologie informatiche, rappresenta un’esagerazione bella e buona. La scrittrice marocchina Laila Lalami, ha scritto su Twitter “Internet facilita la comunicazione, ma da sola non tiene le persone in piazza per quattro settimane”. E perché non citare i flash mob, termine che indica una riunione di gruppi di persone che pongono in essere un’azione comune in uno spazio pubblico; riunione che si dissolve in brevissimo tempo. I flash mob sono organizzati attraverso internet e i social network; ci si raduna a una certa ora in un certo posto e, ad esempio, si rimane tutti in mutande alzando dei cartelli, e poi via tutti a casa a taggarsi e a taggare gli amici, sulle mutande altrui. Ecco la spiegazione del perché i flash mob sono brevissimi: si deve correre a taggare. È vero che sono possibili alcune obiezioni, peraltro legittime: come il raggiungere con questi mezzi, persone con cui diversamente non sarebbe possibile confrontarsi, o il fare giungere un messaggio diverso da quello di regime (anche a causa della censura mediatica nei confronti della sinistra alternativa). Queste obbiezioni, però, non intaccano il tema fondamentale: interrogare e indagare la realtà, come hanno fatto i comunisti nel novecento, partendo dalla materialità, dai rapporti di forza, riempiendo spazi fisici per costruire contropotere e conflitto sociale. Che la sinistra alternativa sia molto impegnata, con le sue capacità, la sua ricchezza, il suo tempo, a utilizzare la rete ai propri fini, per la costruzione di nuovi modi di relazioni e comunicazioni, è segno di stare al passo con i tempi, è segno di voler riprendere a riempire gli spazi, sia pure immateriali come quelli del web. Auguriamoci solo che non sia un altro passo, magari inconsapevole, verso una nuova stagione di riflusso e sconfitte. Non vorremmo che qualcuno abbia sostituito il termine “conflict” con “network”, perché non sono sinonimi. “La politica inizia quando finisce la riunione e si va a parlare fra la gente, con chi non è comunista”, disse un compagno durante una riunione del collettivo di redazione. Si, è un comunista dell’altro secolo; se fosse stato un po’ più moderno avrebbe detto “La politica inizia quando finisce la riunione, ci si collega a Facebook, e si clicca si «mi piace» nei commenti di chi si dichiara comunista”. Quando su Fessbuk verrà creato l’evento “Presa del Palazzo d’Inverno” avvertiteci, potremmo non essere tra gli amici di chi lo ha creato. Vorremmo poter cliccare su «parteciperò», perché non vorremmo essere criticati di non averlo premuto, magari perché distratti dalla diffusione del nostro giornale fuori dai cancelli di una fabbrica.
Una taggata vi seppellirà!
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