Possiamo immaginare un domani senza più scuole? Almeno come siamo abituati a intenderle classicamente?
Se un algoritmo è in grado di prevedere la capacità di uno studente a risolvere i problemi, analizzando le sue performance passate, individuando dove potrebbe avere delle lacune, e formando un quadro globale della sua conoscenza … possiamo senz’altro rispondere SI.
Alcuni ricercatori della Stanford University insieme a Google, hanno messo a punto un algoritmo che analizza le prestazioni, su problemi del passato, individuando dove gli studenti tendono ad andare male. Questo algoritmo potrebbe rivelarsi così efficace da eliminare test e esami.
Non è un’idea nuova quella di monitorare, tramite dei programmi, i progressi di uno studente, ma i pochi tentativi fatti finora, non avevano sfruttato un apprendimento profondo, analizzando grandi quantità di dati.
Il team guidato da Chris Piech a Stanford ha inserito più di 1,4 milioni di risposte di matematica fornite dagli studenti sulla piattaforma di apprendimento online Khan Academy. Hanno ordinato le domande per tipologia, come, per esempio, quelle che coinvolgono le radici quadrate o i diagrammi cartesiani.
Con tutte queste informazioni, il sistema ha cominciato a studiare le conoscenze di ogni singolo studente relativamente ad ogni tipo di domanda. In questo modo si sono potute individuare le lacune di apprendimento e quindi dove rivolgere gli sforzi per colmarle.
Alla fine il sistema potrebbe diventare talmente preciso (per ora la precisione è dell’85%) che si potrebbero di fatto abolire gli esami, poiché sarebbe il sistema stesso a valutare lo studente.
Già verso la fine degli anni ’80, un “gruppo di lavoro educazione” dell’ERT (European Round Table of Industrialists) in un documento dal titolo “Educazione e competenza in Europa”, aveva individuato l’istruzione e la formazione come investimenti strategici e vitali per il futuro delle imprese, e deplorava il fatto che l’insegnamento e la formazione siamo sempre stati considerati dai governi come un affare interno, senza che le aziende potessero influenzare i programmi didattici. [“Education et compétence en Europe” – ERT 1989].
Questo documento è però solo il primo di una lunga serie di documenti tesi ad affermare «l’importanza strategica vitale della formazione e dell’educazione per la competitività europea», questo perché i datori di lavoro reclamano lavoratori «autonomi, in grado di adattarsi ad un continuo cambiamento e di accettare senza posa nuove sfide». [“Une éducation européenne, Verses une société qui apprend” – ERT 1995]
«La popolazione europea deve impegnarsi in un processo di apprendimento permanente» e, a tal fine, «sarà necessario che tutti gli individui che imparino, si muniscano di strumenti pedagogici di base, proprio come fanno con una televisione». [“Investir dans la connaissance, L’integration de la technologie dans l’education européenne” – ERT 1997]
I cardini principali di questa mercificazione dell’istruzione, dove l’istruzione stessa diventa merce e lo studente cliente, si basa su alcune parole fondamentali quali, competenze, formazione permanente, ICT, rapporti con le imprese, mobilità, cittadinanza.
Alcuni di questi concetti son legati a doppio filo tra loro, come competenze, formazione permanente e rapporti con le imprese. Questo significa, per esempio, che le scuole che hanno rapporti con delle aziende dovranno formare individui con le competenze adatte al “mercato del lavoro” (un domani valutate attraverso degli algoritmi) in modo da sgravare le aziende dai costi di ri/qualificazione, e dove gli individui saranno già coscienti del fatto che se vogliono rimanere appetibili per il “mercato del lavoro” dovranno provvedere essi stesi alla loro formazione durante quello che una volta era comunemente definito “tempo libero”.
ICT, perché l’utilizzo delle nuove tecnologie è giustificata dalle potenzialità che queste offrirebbero sul piano pedagogico. In realtà, l’elevare computer e internet a priorità in materia di innovazione scolastica, è perché l’insegnamento è pensato come veicolo di crescita economico.
Inoltre con il termine cittadinanza ci si preoccupa di promuovere, attraverso l’educazione, quella che viene definita «cittadinanza attiva» delle giovani generazioni, attraverso l’utilizzo di pratiche «pedagogiche democratiche» e la creazione di «spazi di democrazia» nelle scuole. [“L’apprentissage à la citoyenneté active” – E. Cresson 1997]
Il capitale ha sempre avuto la necessità di educare le persone al lavoro in fabbrica (e alla sua divisione gerarchica), e in questa sua funzione è sempre stato coadiuvato dall’organizzazione statale e dai media, sotto il suo controllo (diretto o indiretto).
Nello stato post-moderno le strutture del potere hanno come compito lo sviluppo e la crescita della società, e quindi hanno bisogno di una grande struttura coercitiva che ha come scopo principale quello di orientare i comportamenti delle masse per garantire l’ordine sociale, ma anche per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo del sistema capitalista.
Tutte le riforme scolastiche di questi ultimi anni, dalla riforma Berlinguer del 2001, sono andate in questa direzione; una direzione in cui il capitale ha intravisto un nuovo mercato globale.
“Le idee dominanti della società equivalgono alle idee delle classi dominanti”
[K. Marx]
“Una confortevole, levigata, cagionevole democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico”
[H. Marcuse]