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sabato, 27 Luglio 2024

Indu­stria 4.0: benes­se­re gene­ra­le e Cor­po di Rico­stru­zio­ne e Boni­fi­ca (par­te 2)

«Colo­ro che non era­no in gra­do di com­pe­te­re con le mac­chi­ne da un pun­to di vista eco­no­mi­co pote­va­no sce­glie­re, se non ave­va­no altro red­di­to, tra l’esercito e il Cor­po di Ristrut­tu­ra­zio­ne e Boni­fi­ca.» [Kurt Von­ne­gut – Distrug­ge­te le mac­chi­ne]


Dall’artigianato al con­su­mi­smo e al post­for­di­smo

Nell’era del lavo­ro manua­le, la strut­tu­ra del lavo­ro era una strut­tu­ra arti­gia­na­le, figlia del­la cono­scen­za che veni­va tra­smes­sa da per­so­na a per­so­na, mol­to spes­so tra padre e figlio; da una gene­ra­zio­ne all’altra.

Industria 4.0 - Social Media & DataveillanceCon il pas­sag­gio all’era mec­ca­ni­ca e con l’avvento del for­di­smo, il pro­ces­so pro­dut­ti­vo vie­ne scom­po­sto in pic­co­le man­sio­ni, e per i lavo­ra­to­ri scom­pa­re la neces­si­tà del­la cono­scen­za dell’intero pro­ces­so. Que­sta cono­scen­za vie­ne estrat­ta e tra­sfe­ri­ta agli uffi­ci del­la dire­zio­ne in modo che pos­sa esse­re scom­po­sta in ope­ra­zio­ni sem­pli­ci.

Il capi­ta­li­sta, con l’aiuto del­la scien­za, si impos­ses­sa di que­sta cono­scen­za, che tra­sfe­ri­sce nel­la pro­get­ta­zio­ne del­lo sta­bi­li­men­to, nel­la divi­sio­ne del­le man­sio­ni e all’interno del­le mac­chi­ne.

Con l’avvento del­la pro­du­zio­ne indu­stria­le, l’artigiano si tra­sfor­ma, quin­di, in un ope­ra­io, che deve ese­gui­re solo sem­pli­ci ope­ra­zio­ni. A cau­sa del­la per­di­ta del­la cono­scen­za del pro­ces­so pro­dut­ti­vo, il “nuo­vo” ope­ra­io resta schiac­cia­to dal­la scien­za del­le mac­chi­ne e vie­ne quin­di sot­to­mes­so al padro­ne.

Se pri­ma la mac­chi­na era uno stru­men­to di media­zio­ne tra l’artigiano e il suo pro­dot­to fina­le, ora la mac­chi­na diven­ta uno stru­men­to di con­trol­lo e domi­nio, poi­ché inglo­ba il con­trol­lo sul lavo­ro vivo.

Duran­te que­sta fase nasco­no alcu­ne neces­si­tà per il capi­ta­li­sta: la pri­ma è quel­la di riu­sci­re a con­trol­la­re tut­te le fasi del­la pro­du­zio­ne, neces­si­tà che vie­ne risol­ta attra­ver­so un siste­ma di sor­ve­glian­za diret­to, che va dal capo­re­par­to fino al capo­squa­dra, e fa si che l’operaio acqui­sti, un po’ alla vol­ta, coscien­za del mec­ca­ni­smo che deve subi­re.

La secon­da neces­si­tà, con­se­guen­za del­la pri­ma e tut­to­ra vali­da, è quel­la di una cor­ret­ta gestio­ne degli indi­vi­dui nel­la socie­tà, al fine di crea­re una clas­se ordi­na­ta, che pos­sa inse­rir­si, sen­za crea­re pro­ble­mi, all’interno del ciclo di pro­du­zio­ne. Que­sta neces­si­tà vede i media rico­pri­re un ruo­lo fon­da­men­ta­le, dan­do un con­tri­bu­to ideo­lo­gi­co e cul­tu­ra­le a que­sto sco­po. I media si pren­do­no in cari­co il com­pi­to di pre­sen­ta­re lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co come l’unico e il miglio­re pos­si­bi­le, descri­ven­do le istan­ze dei lavo­ra­to­ri come una minac­cia per la pace socia­le e per la soprav­vi­ven­za del­le socie­tà. Ruo­lo che, anche se in situa­zio­ne diver­sa, i media stan­no svol­gen­do in que­sto perio­do. Situa­zio­ne diver­sa, per­ché i media non sono più “indi­pen­den­ti”, ma sono pro­prie­tà stes­sa del capi­ta­le.

L’industrializzazione del­la pro­du­zio­ne pro­vo­cò un tale incre­men­to del­la quan­ti­tà di mer­ci pro­dot­te, che nel capi­ta­li­smo si impo­se ben pre­sto l’idea che le clas­si lavo­ra­tri­ci doves­se­ro soste­ne­re e par­te­ci­pa­re al siste­ma indu­stria­le in un modo tut­to nuo­vo: ossia come mas­sa con­su­ma­tri­ce. La pres­sio­ne del­le lot­te socia­li, di quel perio­do, e la pau­ra del­la sovrap­pro­du­zio­ne, fan­no si che nasca l’idea di con­ce­de­re agli ope­rai il con­fort attra­ver­so il con­su­mo, smal­ten­do il sur­plus e cal­man­do, con­tem­po­ra­nea­men­te, le con­te­sta­zio­ni.

Un pro­gram­ma che Chri­sti­ne Fre­de­rich[i] for­mu­la­va così nel 1929 «”Con­su­ma­tio­ni­sm” è il nome del­la nuo­va teo­ria. È comu­ne­men­te accet­ta­to al gior­no d’oggi che si trat­ta dell’idea miglio­re che l’America potes­se offri­re al mon­do, l’idea che le mas­se lavo­ra­tri­ci […]  pos­sa­no esse­re con­si­de­ra­te anche come “con­su­ma­tri­ci”. […] Pagan­do­le di più per ven­de­re loro di più e trar­re così mag­gior pro­fit­to, ecco come biso­gna ragio­na­re.» [Sel­ling Mrs. Con­su­mer]

Con l’avvento del­le tec­no­lo­gie dell’informazione (ICT — Infor­ma­tion and Com­mu­ni­ca­tions Tech­no­lo­gy) si deter­mi­na un capo­vol­gi­men­to di mol­te del­le carat­te­ri­sti­che del for­di­smo, poi­ché cre­sce sem­pre di più il livel­lo di auto­ma­zio­ne e com­ples­si­tà del­la pro­du­zio­ne. Que­ste nuo­ve tec­no­lo­gie acqui­sta­no sem­pre mag­gio­re impor­tan­za, tra­sfor­man­do­si in una “intel­li­gen­za” ela­bo­ra­ti­va in gra­do di “gene­ra­re” nuo­ve for­me di orga­niz­za­zio­ne del lavo­ro, e dove acqui­sta­no note­vo­le impor­tan­za due feno­me­ni lega­ti ai nuo­vi cicli pro­dut­ti­vi, l’abbattimento dei costi di pro­du­zio­ne e la fles­si­bi­li­tà ope­ra­ti­va.

Tra­mi­te i flus­si di infor­ma­zio­ne che ven­go­no immes­si nel pro­ces­so pro­dut­ti­vo, si supe­ra la logi­ca del­la pro­du­zio­ne stan­dar­diz­za­ta, poi­ché que­sti flus­si per­met­to­no di rior­ga­niz­za­re in tem­po rea­le e in base al muta­re del­la doman­da, la strut­tu­ra stes­sa del pro­ces­so pro­dut­ti­vo e di con­se­guen­za la strut­tu­ra stes­sa del­la fab­bri­ca.

Que­ste nuo­ve tec­no­lo­gie ridi­men­sio­na­no e destrut­tu­ra­no sul ter­ri­to­rio le fab­bri­che for­di­ste, sem­pre più gran­di e basa­te sul con­cet­to new­to­nia­no di spa­zio-tem­po, ovve­ro uno spa­zio con­ti­nuo nel­la suc­ces­sio­ne del­le ope­ra­zio­ni, e un tem­po scan­di­to dal­le mac­chi­ne, e dan­no vita a for­me reti­co­la­ri di impre­se. Que­ste for­me reti­co­la­ri di impre­se, sono mol­to fles­si­bi­li e rimo­del­la­bi­li, ed in esse è pos­si­bi­le tro­va­re tut­ti i tipi di impre­se, da quel­le medio gran­di fino al lavo­ra­to­re auto­no­mo.

Industria 4.0 - Social Media & DataveillanceQue­ste tec­no­lo­gie per­met­to­no, anche, a pun­ti mol­to distan­ti tra loro di comu­ni­ca­re in modo istan­ta­neo, ridu­cen­do il con­cet­to di tem­po. In altre paro­le lo spa­zio diven­ta discon­ti­nuo gra­zie al fat­to che la fab­bri­ca si dif­fon­de sul ter­ri­to­rio, men­tre il tem­po da linea­re (scan­di­to dai rit­mi del­le mac­chi­ne) diven­ta simul­ta­neo.

Il tem­po non “ope­ra” più nel­lo spa­zio ma, ridu­cen­do­si a istan­ta­neo, crea uno spa­zio com­ple­ta­men­te nuo­vo. Ridu­cen­do­si sem­pre più costrin­ge, tut­to ciò che pos­sa assu­me­re una for­ma tem­po­ra­le a ridur­si.

Il con­cet­to tay­lo­ri­sti­co del “one best way”, ovve­ro del tem­po otti­ma­le per ese­gui­re un’operazione, per­de di signi­fi­ca­to, poi­ché i modi per pro­dur­re un pro­dot­to diven­ta­no infi­ni­ti e i tem­pi non sono sta­bi­li­ti a prio­ri, ma pos­so­no esse­re ridot­ti all’infinito, secon­do la logi­ca del Kai­zen: la logi­ca del miglio­ra­men­to con­ti­nuo.

Nasco­no però del­le con­se­guen­ze nega­ti­ve sul­le con­di­zio­ni dei lavo­ra­to­ri, la cui più evi­den­te è la per­di­ta del­lo spa­zio del­la fab­bri­ca come luo­go di aggre­ga­zio­ne e orga­niz­za­zio­ne del con­flit­to con una con­se­guen­te disper­sio­ne di quel­la sog­get­ti­vi­tà che era sta­ta la for­za trai­nan­te del­le lot­te.

Per di più s’instaura una con­cor­ren­za stes­sa tra i lavo­ra­to­ri all’interno del­lo stes­so pro­ces­so pro­dut­ti­vo; con­cor­ren­za che por­ta all’accentuarsi del­le con­di­zio­ni di sfrut­ta­men­to per­ché que­sto è il risul­ta­to prin­ci­pe del­la com­pe­ti­ti­vi­tà.

Que­sta tra­sfor­ma­zio­ne por­ta l’impresa a non esse­re più un’isola, un for­ti­no all’interno del­la cit­tà, ma fa in modo che essa diven­ti atto­re di una strut­tu­ra che ha rela­zio­ni con for­ni­to­ri, sub-for­ni­to­ri, impre­se allea­te, isti­tu­zio­ni del ter­ri­to­rio, e non ulti­mo abbia rela­zio­ni anche con i pro­pri clien­ti.

Ci sono però diver­si tipi di impre­se a rete; le seguen­ti quat­tro tipo­lo­gie, le pos­sia­mo con­si­de­ra­re come le prin­ci­pa­li.

  • Impre­se che han­no attua­to il decen­tra­men­to del­la mag­gior par­te del­le pro­prie atti­vi­tà ver­so impre­se sub-for­ni­tri­ci. Impre­se che mol­to pro­ba­bil­men­te occu­pa­no meno del 1% del­la for­za lavo­ro, e che sono qua­si esclu­si­va­men­te un brand, un mar­chio, come Benet­ton o Nike. Impre­se il cui decen­tra­men­to è tut­to con­cen­tra­to su pae­si del ter­zo mon­do, dove lo sfrut­ta­men­to rag­giun­ge livel­li simi­li alla schia­vi­tù, dove lo sfrut­ta­men­to dei mino­ri è la nor­ma.
  • Impre­se com­ple­men­ta­ri che col­le­ga­te tra loro gene­ra­no un ciclo di pro­du­zio­ne com­ple­to.
  • Impre­se loca­li carat­te­riz­za­te da una comu­ne filie­ra mer­ceo­lo­gi­ca, e da una dif­fu­sa com­pe­ten­za, che gene­ra­no i cosid­det­ti ‘distret­ti indu­stria­li’, come la pro­du­zio­ne di pia­strel­le nel mode­ne­se, il tes­si­le a Pra­to, l’oreficeria nel vicen­ti­no, ecc. Que­sto tipo di tipo­lo­gia di impre­sa ha avu­to un note­vo­le suc­ces­so in Ita­lia.
  • Impre­se che da gran­di diven­ta­no “pic­co­le”, ovve­ro azien­de che con un’unica strut­tu­ra pro­prie­ta­ria e orga­niz­za­ti­va, si arti­co­la­no al loro inter­no in strut­tu­re mol­to simi­li a pic­co­le impre­se (busi­ness uni­ty, pro­fit cen­tre), dove il pro­ces­so di decen­tra­men­to ope­ra­ti­vo gene­ra gra­di di fles­si­bi­li­tà e di auto­no­mia che con­sen­te a que­ste strut­tu­re di cre­sce­re oltre i con­fi­ni dell’azienda “madre”.

Seb­be­ne le impre­se sia­no orga­niz­za­te in una mol­te­pli­ci­tà di model­li pro­dut­ti­vi e di rela­zio­ni, la coe­ren­za del siste­ma vie­ne garan­ti­ta sia dal­la pro­li­fe­ra­zio­ne dal model­lo dell’impresa su sca­la glo­ba­le, sia da un “para­dig­ma di con­nes­sio­ne e comu­ni­ca­zio­ne”, coe­ren­te a tut­ti i model­li pro­dut­ti­vi, che vei­co­la un mes­sag­gio uni­ver­sa­le atto a sta­bi­li­re rego­le di crea­zio­ne e fun­zio­na­men­to dei model­li di impre­se. Mes­sag­gio atto a sta­bi­li­re stan­dard indu­stria­li, rego­le di tran­sa­zio­ni, model­li di coman­do e par­te­ci­pa­zio­ne, cri­te­ri di gover­no del mer­ca­to del lavo­ro, sva­lo­riz­za­zio­ne dei posti di lavo­ro e non ulti­mo lo sman­tel­la­men­to del wel­fa­re.

Se ana­liz­zia­mo que­ste strut­tu­re, pos­sia­mo facil­men­te veri­fi­ca­re che ci sono nodi con mol­ti col­le­ga­men­ti e altri con meno col­le­ga­men­ti e, scen­den­do sem­pre più nel­la strut­tu­ra del­la rete, tro­via­mo nodi con un solo col­le­ga­men­to.

Uti­liz­zan­do la defi­ni­zio­ne di Mark Bucha­nan[ii], pos­sia­mo defi­ni­re que­sto tipo di reti come “ari­sto­cra­ti­che”, in quan­to dota­te di “hub”, ovve­ro di nodi a cui fan­no capo la mag­gior par­te del­le con­nes­sio­ni. Se pen­sia­mo a una mul­ti­na­zio­na­le destrut­tu­ra­ta su più ter­ri­to­ri, e ana­liz­zia­mo i col­le­ga­men­ti con i sui for­ni­to­ri e sub-for­ni­to­ri, potrem­mo facil­men­te veri­fi­ca­re che la mul­ti­na­zio­na­le stes­sa è un hub, e che i for­ni­to­ri e i sub-for­ni­to­ri non han­no lo stes­so nume­ro di col­le­ga­men­ti del­la mul­ti­na­zio­na­le. Pos­sia­mo quin­di defi­ni­re que­ste reti gerar­chi­che, per­ché, a dif­fe­ren­za del­le reti pari­te­ti­che, mol­te con­nes­sio­ni fan­no capo a pochi ele­men­ti.

I col­le­ga­men­ti tra i nodi del­la rete, e in spe­cial modo i col­le­gan­ti agli hub e ai nodi più impor­tan­ti sono, mol­to spes­so, di due tipi: comu­ni­ca­ti­vo e logi­sti­co.

Il secon­do tipo di “con­nes­sio­ne”, quel­lo logi­sti­co, rap­pre­sen­ta un cam­bia­men­to nel­la per­ce­zio­ne del­la fab­bri­ca poi­ché la linea di mon­tag­gio diven­ta un caso par­ti­co­la­re di una linea più gene­ra­le e più ampia, che si esten­de ben oltre i con­fi­ni del­la fab­bri­ca, e in cui la logi­sti­ca diven­ta una disci­pli­na lega­ta alla pro­du­zio­ne.

Industria 4.0 - Social Media & DataveillanceLa logi­sti­ca è sem­pre esi­sti­ta come pra­ti­ca che risa­le al cam­po mili­ta­re, ma è sta­to con il com­mer­cio degli schia­vi afri­ca­ni che ven­ne intro­dot­ta la logi­sti­ca per fini com­mer­cia­li. Da allo­ra sono sta­ti svi­lup­pa­ti gran­di pro­get­ti di infra­strut­tu­re come cana­li e fer­ro­vie, e si sono veri­fi­ca­ti gran­di spo­sta­men­ti di mas­se e migra­zio­ni.

Ma è sola­men­te con la con­tai­ne­riz­za­zio­ne e la pro­du­zio­ne glo­ba­le che la logi­sti­ca entra come disci­pli­na a far par­te del mana­ge­ment del­la pro­du­zio­ne. Il risul­ta­to è che il mana­ge­ment del­la pro­du­zio­ne con­trol­la input e out­put den­tro e fuo­ri la fab­bri­ca come esten­sio­ne del­la linea di pro­du­zio­ne. Miglio­ra­re que­ste esten­sio­ni signi­fi­ca miglio­ra­re la linea stes­sa all’interno del­la fab­bri­ca.

Que­sta esten­sio­ne del­la linea ser­ve a miglio­ra­re il pro­ces­so pro­dut­ti­vo, tenen­do con­to del movi­men­to del­le mate­rie pri­me, dei semi­la­vo­ra­ti, ma anche del feed­back dei clien­ti. Il mana­ge­ment del­la pro­du­zio­ne acqui­sta una visio­ne glo­ba­le e una respon­sa­bi­li­tà non più del­la sola pro­du­zio­ne ma di tut­ti i cir­cui­ti lega­ti alla pro­du­zio­ne. L’integrazione e la gestio­ne di que­ste cate­ne di valo­re vie­ne rea­liz­za­ta attra­ver­so del­le metri­che di pre­sta­zio­ni, ovve­ro attra­ver­so degli algo­rit­mi.

Coin­vol­gi­men­to e fles­si­bi­li­tà: nuo­ve uni­tà di misu­ra del lavo­ro

Que­sto nuo­vo “modo di pro­du­zio­ne”, come abbia­mo già det­to, ha una logi­ca di fun­zio­na­men­to diver­sa da quel­la del for­di­smo: non più una cate­na linea­re e rigi­da­men­te sequen­zia­le, come quel­la di Ford, ma una strut­tu­ra a siste­mi modu­la­ri (“rete” o “iso­le”) che ren­do­no il mon­tag­gio più fles­si­bi­le.

Industria 4.0 - Social Media & DataveillanceLa pro­du­zio­ne più fles­si­bi­le deve ave­re anche ope­rai fles­si­bi­li e poli­va­len­ti, adat­ti a lavo­ra­re in grup­pi: moda­li­tà che sem­bra­no con­trad­di­re i prin­ci­pi stes­si del for­di­smo: la divi­sio­ne del lavo­ro e la sud­di­vi­sio­ne del­le man­sio­ni.

Addi­rit­tu­ra l’alienazione dal lavo­ro sem­bra veni­re meno, nel momen­to in cui si chie­de al lavo­ra­to­re di con­di­vi­de­re gli obbiet­ti­vi dell’azienda.

Que­sto tipo di coin­vol­gi­men­to del dipen­den­te, è un ulte­rio­re pun­to di que­sta nuo­va for­ma di indu­stria­li­smo. Que­sto coin­vol­gi­men­to diven­ta però una nuo­va for­ma di con­trol­lo, non più basa­ta sul dispo­ti­smo, come nell’era for­di­sta, ma sull’egemonia, in quan­to por­ta i lavo­ra­to­ri a iden­ti­fi­car­si, non solo nel pro­prio lavo­ro, ma anche nel pro­prio sfrut­ta­to­re.

Que­sto atteg­gia­men­to si chia­ma Employee Invol­ve­ment (EI), ed è uno dei pun­ti di for­za del Kai­zen, una pra­ti­ca com­por­ta­men­ta­le giap­po­ne­se, il cui obbiet­ti­vo è quel­lo del costan­te miglio­ra­men­to dei pro­ces­si mani­fat­tu­rie­ri, e che ha gene­ra­to tec­ni­che qua­li la psi­co­te­ra­pia e il coat­ching.

L’Employee Invol­ve­ment nasce dal con­cet­to di lavo­ro emo­zio­na­le, dove tut­ta l’esperienza del­la pro­pria vita pri­va­ta (espe­rien­ze che ven­go­no acqui­si­te fin da pic­co­li attra­ver­so i gio­chi, gli sport di squa­dra, le atti­vi­tà musi­ca­li, tea­tra­li ecc.) ven­go­no uti­liz­za­te per far fron­te a esi­gen­ze lavo­ra­ti­ve. Quan­do que­ste espe­rien­ze del­la sfe­ra pri­va­ta entra­no nel­la sfe­ra lavo­ra­ti­ve, diven­ta­no com­po­nen­ti del­la pro­du­zio­ne stes­sa.

Il Kai­zen è sta­to uti­liz­za­to dal mana­ge­ment del­la pro­du­zio­ne nel­le fab­bri­che giap­po­ne­si e indi­ca, come scrit­to in pre­ce­den­za, non solo un miglio­ra­men­to, ma un con­ti­nuo e inces­san­te miglio­ra­men­to. Il meto­do base del tay­lo­ri­smo chia­ma­to “best one way” (ovve­ro tro­va­re il “solo modo miglio­re” di orga­niz­za­zio­ne di una linea di pro­du­zio­ne), con il Kai­zen non ha più sen­so.

Le tec­ni­che di misu­ra­zio­ne tipi­che del­la fab­bri­ca for­di­sta, sono sosti­tui­te da metri­che di pre­sta­zio­ni ali­men­ta­te da algo­rit­mi, che spo­sta­no il valo­re dal pro­dot­to al pro­ces­so. Quin­di l’efficienza non è più misu­ra­ta dal pro­fit­to del­la mer­ce, come nell’approccio “one best way”, ma nell’efficienza misu­ra­ta in sé stes­sa.

Il miglio­ra­men­to con­ti­nuo signi­fi­ca che la linea di pro­du­zio­ne ha come obbiet­ti­vo quel­lo di supe­ra­re sé stes­sa in modo con­ti­nuo, da qui la neces­si­tà di scom­por­re l’intero pro­ces­so pro­dut­ti­vo in pic­co­lis­si­mi “pro­ces­si” e lo stu­dio dei movi­men­ti degli ope­rai per miglio­ra­re costan­te­men­te l’efficienza, fin quan­do, non sarà pos­si­bi­le sosti­tui­re l’operaio con un robot.

Da par­te del­le impre­se capi­ta­li­sti­che è sem­pre esi­sti­ta la neces­si­tà di un miglio­ra­men­to del­la fase pro­dut­ti­va e di una mag­gio­re effi­cien­za, ma que­ste neces­si­tà veni­va­no giu­sti­fi­ca­te da una con­cor­ren­za misu­ra­bi­le e da mec­ca­ni­smi di mer­ca­to misu­ra­bi­li. Ora non è più cosi, la misu­ra­zio­ne si è tra­sfe­ri­ta “all’interno” del­la linea.

Esi­ste però un pun­to cru­cia­le: la pro­du­zio­ne “non è più di mas­sa”, nel sen­so che non ha più le gran­di dimen­sio­ni del pas­sa­to e non è più stan­dar­diz­za­ta; in pra­ti­ca la pro­du­zio­ne si ade­gua a una doman­da, infe­rio­re per dimen­sio­ni e mute­vo­le per gusti.

Que­sta dimi­nu­zio­ne del­la pro­du­zio­ne com­por­ta anche una dimi­nu­zio­ne del lavo­ro ma, a cau­sa del­la len­tez­za del­le isti­tu­zio­ni ad ade­guar­si alle muta­te con­di­zio­ni pro­dut­ti­ve, si regi­stra­no alcu­ne sfa­sa­tu­re, man­can­do stru­men­ti atti a con­tra­sta­re sia la dimi­nu­zio­ne del lavo­ro sia a ren­der­lo più fles­si­bi­le.

In Ita­lia, que­sto tipo di orga­niz­za­zio­ne ha gene­ra­to un impul­so note­vo­le di quel­li che ven­go­no defi­ni­ti mer­ca­ti “neri” e “gri­gi”, e quin­di uno scon­tro tra l’economia non som­mer­sa e quel­la som­mer­sa.

Pro­prio alla fine degli anni ’70 il 5º gover­no Andreot­ti sti­la un pia­no trien­na­le, dove vie­ne denun­cia­ta la capa­ci­tà di que­sta eco­no­mia som­mer­sa di sot­trar­si alle rego­le fisca­li e con­tri­bu­ti­ve, carat­te­ri­sti­ca che per­met­te di eser­ci­ta­re una con­cor­ren­za slea­le, ma che pone anche un pro­ble­ma di lega­liz­za­zio­ne di que­sta eco­no­mia som­mer­sa.

La rispo­sta del pia­no è quel­la di esten­de­re le con­di­zio­ni tipi­che del lavo­ro nero a tut­to il mon­do del lavo­ro, in altre paro­le far emer­ge­re il lavo­ro nero rego­la­riz­zan­do­ne i lavo­ra­to­ri ma, esten­den­do però quel­le rego­le tipi­che di que­sto lavo­ro som­mer­so, a tut­ti i lavo­ra­to­ri pro­tet­ti.

E pro­prio allo­ra ven­go­no lega­liz­za­ti stru­men­ti tipi­ci del lavo­ro nero, qua­li il part time e i con­trat­ti tem­po deter­mi­na­to, anche se in real­tà que­sti ulti­mi esi­ste­va­no già da qual­che tem­po, e per­tan­to non si fa altro che accre­sce­re la loro appli­ca­zio­ne in modo da sod­di­sfa­re le esi­gen­ze di fles­si­bi­li­tà dimen­sio­na­li del­le impre­se.

Tut­te le rifor­me del lavo­ro che si sono suc­ce­du­te, Treu, Bia­gi, Sac­co­ni, For­ne­ro e per ulti­mo il Job Act di Ren­zi non han­no fan­no altro che pro­se­gui­re su quel­la stra­da ini­zia­ta alla fine degli anni ’70, ero­den­do pian pia­no i dirit­ti di tut­ti i lavo­ra­to­ri.

Ora lo scon­tro si è spo­sta­to da eco­no­mia som­mer­sa e non som­mer­sa, all’evasione fisca­le, con­cet­to che apre “fra­me” mol­to più effi­ca­ci nel­le per­so­ne che l’evasione non pos­so­no far­la per­ché tas­sa­ti già alla fon­te.

Anche se esi­ste anco­ra dell’economia som­mer­sa, la mag­gior par­te si è “spo­sta­ta” in quel­la che vie­ne defi­ni­ta “Gig Eco­no­my” un model­lo eco­no­mi­co sem­pre più dif­fu­so dove non esi­sto­no più le pre­sta­zio­ni lavo­ra­ti­ve con­ti­nua­ti­ve (il posto fis­so, con con­trat­to a tem­po inde­ter­mi­na­to) ma si lavo­ra on demand, cioè solo quan­do c’è richie­sta per i pro­pri ser­vi­zi, pro­dot­ti o com­pe­ten­ze: il mas­si­mo del­la fles­si­bi­li­tà.

Teo­ri­ca­men­te la fles­si­bi­li­tà dovreb­be esse­re vista in un’ot­ti­ca evo­lu­ti­va e di accre­sci­men­to: ovve­ro dovreb­be pre­ve­de­re un costan­te miglio­ra­men­to del­le cono­scen­ze del lavo­ra­to­re e di con­se­guen­za del livel­lo occu­pa­zio­na­le rag­giun­to, sia per quan­to riguar­da il livel­lo eco­no­mi­co sia per il livel­lo del­le com­pe­ten­ze pro­fes­sio­na­li.

Nel­la real­tà, ovve­ro nel­la visio­ne che gli impren­di­to­ri capi­ta­li­sti han­no, la fles­si­bi­li­tà vie­ne inte­sa sia in ter­mi­ni di ora­rio, che di sede di lavo­ro e man­sio­ne, in altre paro­le, come dispo­ni­bi­li­tà rispet­to alle esi­gen­ze e alle richie­ste del dato­re di lavo­ro. Dispo­ni­bi­li­tà quin­di a lavo­ra­re oltre le 8 ore, a lavo­ra­re il saba­to e nei gior­ni festi­vi, a cam­bia­re man­sio­ne, a tra­sfer­te anche di lun­ga dura­ta, a tra­sfe­ri­men­ti del­la sede di lavo­ro, il tut­to a disca­pi­to del­la pro­pria vita.

Nel­la men­ta­li­tà degli impren­di­to­ri capi­ta­li­sti, la fles­si­bi­li­tà dege­ne­ra nel con­cet­to di pre­ca­ria­to a cau­sa di più fat­to­ri di insta­bi­li­tà, come per esem­pio, la man­can­za del­la con­ti­nui­tà lavo­ra­ti­va e di con­se­guen­za, la man­can­za di un red­di­to ade­gua­to alla pia­ni­fi­ca­zio­ne del­la pro­pria vita pre­sen­te e futu­ra. Da qui il ricor­so isti­tu­zio­na­le, a pal­lia­ti­vi vari come il red­di­to di inclu­sio­ne o il red­di­to di cit­ta­di­nan­za, tut­ti stru­men­ti atti a con­vin­ce­re i lavo­ra­to­ri che in qual­sia­si momen­to potran­no tro­var­si in uno sta­to di pover­tà e mise­ria: stru­men­ti che però ti per­met­to­no di esse­re un con­su­ma­to­re, ma che non intac­ca­no mini­ma­men­te le nuo­ve rego­le del mer­ca­to del lavo­ro, ma anzi diven­ta­no uno stru­men­to atto a crea­re una for­za lavo­ro iso­la­ta e immi­se­ri­ta e, per­ciò, sem­pre più dispo­ni­bi­le allo sfrut­ta­men­to.

Nel­la real­tà, que­sto nuo­vo para­dig­ma pro­dut­ti­vo, spe­cial­men­te nel­le zone peri­fe­ri­che, e nel­la pro­du­zio­ne auto­mo­bi­li­sti­ca è tut­to­ra anco­ra di più “for­di­sta”. La fab­bri­ca tay­lo­ri­sta, con il suo siste­ma di con­trol­lo dispo­ti­co, è uno degli stru­men­ti più effi­ca­ci per espor­ta­re meto­di di lavo­ro capi­ta­li­sti­ci nei pae­si cosid­det­ti in via di svi­lup­po. Que­sto per­ché si pre­ve­de che il tra­pian­to di una pro­du­zio­ne alta­men­te tay­lo­riz­za­ta rie­sca in tem­pi bre­vi a disci­pli­na­re una popo­la­zio­ne pri­va di tra­di­zio­ni indu­stria­li.

(Fine secon­da par­te)

Pri­ma par­te

[i] Chri­sti­ne Fre­de­rick (1883–1970) è sta­ta un’economista dome­sti­ca ame­ri­ca­na. Segua­ce del tay­lo­ri­smo e del­la gestio­ne scien­ti­fi­ca, aprì la Apple­croft Home Expe­ri­ment Sta­tion nel­la sua casa a New York, nel 1912. In pra­ti­ca si trat­ta­va di un labo­ra­to­rio in cui Chri­sti­ne spe­ri­men­tò diver­si meto­di e appa­rec­chi per tro­va­re il modo miglio­re per ese­gui­re un par­ti­co­la­re com­pi­to in cuci­na.

Sosten­ne inol­tre il ruo­lo vita­le del­le don­ne in una eco­no­mia di pro­du­zio­ne di mas­sa. Ha scrit­to parec­chi libri su que­sti argo­men­ti, il cui più famo­so è pro­ba­bil­men­te “Sel­ling Mrs. Con­su­mer”, nel­la qua­le offre una giu­sti­fi­ca­zio­ne anche dell’obsolescenza pia­ni­fi­ca­ta come una carat­te­ri­sti­ca neces­sa­ria all’economia indu­stria­le.

[ii] Mark Bucha­nan – Nexus, 2009 Mon­da­do­ri.

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