Sempre più spesso fra i media mainstream italiani e all’interno degli ambienti industriali ed economici si sente parlare di “Industria 4.0”: la quarta rivoluzione industriale. Si tratta di un tema ancora poco conosciuto e poco dibattuto. Per capire questo nuovo paradigma dell’industrialismo sarà necessario entrare nel dettaglio delle tecnologie che portano a questo nuovo scenario produttivo, e indagare in special modo cosa c’è effettivamente dietro a questa rivoluzione, quali sono gli strumenti che la rendono possibile e come cambierà in futuro il lavoro ma soprattutto come cambieranno le nostre vite.
Visioni da un cyber futuro prossimo
«Ilium, New York, è divisa in tre parti.
A nord ovest stanno i dirigenti industriali e gli ingegneri e i loro funzionari governativi e pochi professionisti; a nord est stanno le macchine; e a sud, al di là del fiume Iroquois, c’è quel territorio noto come Homestead, dove vive gran parte della popolazione.»
Inizia così il romanzo di fantascienza “Distruggete le macchine” di Kurt Vonnegut, scritto nel 1952, che ci descrive un’America in cui regna un’apparente benessere. In questo romanzo Vonnegut ci regala una visione di una società in cui le macchine hanno completamente sostituito l’uomo e, contemporaneamente, lo hanno completamente svuotato di ogni interesse. Grazie all’impiego massiccio delle macchine l’uomo è stato sostituito in ogni attività manuale, e in gran parte, anche in quelle intellettuali. La popolazione, resa un puro soggetto consumatore, pur fornita di ogni confort possibile, è però confinata in ghetti separati dalle cittadelle dove le macchine e i loro signori dominano incontrastati. In questi ghetti la vita delle persone si svolge nella miseria intellettuale più completa e, pur di fare qualche cosa si è costretti a compiere lavori degradanti e persino inutili, tramite il Corpo di Ricostruzione e Bonifica, definita dagli stessi appartenenti “Puzzo e Rottami”.
Vonnegut ritrae una società guidata da una vera e propria dittatura di classe, dove tecnocrati e industriali manovrano il paese in base ai propri interessi.
La descrizione degli enormi capannoni di macchine, pieni di segni novecenteschi, che Vonnegut ci regala, sono però molto distanti dagli avveniristici reparti, quasi senza presenza umana, dell’impianto realizzato da GE Avio Aero nel distretto aerospaziale di Cameri per l’additive manufacturing[1]. Un capannone di vetro a due piani, dove sopra ci sono gli open space, con i monitor e le sale di controllo, e sotto le macchine che producono a ciclo continuo palette per turbine, attraverso un processo alternativo e/o complementare a quello delle due fabbriche novecentesche per antonomasia: la fonderia e l’officina metalmeccanica, dove però sono completamente assenti tutti i segni di queste fabbriche: rumore, calore, sporcizia, casse, olio… tute blu.
Viene lecito domandarsi quale sarà il futuro che l’industria 4.0 ci riserva?
Industry 4.0
Siamo davvero entrati nella quarta rivoluzione industriale?
È una domanda che ci si sta ponendo da un po’ di tempo a questa parte, ovvero da quando i media della borghesia ci stanno indottrinando sulla magnificenza dell’industria 4.0, media che in questo caso, riprendono il loro vecchio ruolo di dare un contributo ideologico e culturale, presentando questo nuovo sviluppo del capitalismo come l’unico e il migliore possibile.
Imprese, ma in special modo i governi, sull’onda del modello tedesco (paese che sta investendo molto sull’industria 4.0), stanno promuovendo molto questo nuovo modello produttivo, che dovrebbe, secondo le loro intenzioni, rafforzare e rilanciare la produzione, favorendo il rilancio della manifattura interna, e al tempo stesso favorendo il “back-sharing”, ovvero il rientro dei siti produttivi delocalizzati.
La storia del lavoro, finora è passata attraverso tre fasi distinte e sovrapposte, ma non concorrenti tra loro, poiché ogni nuova fase ha incorporato la precedente, variandone i limiti e le regole. Queste tre fasi sono state tutte caratterizzate da un’invenzione di riferimento che ha prodotto conseguenze tali da generare uno scenario produttivo diverso dal precedente: la macchina a vapore per la prima rivoluzione industriale, l’elettricità per la seconda, e l’introduzione dell’ICT (Information and Communication Technologies) all’interno dei sistemi produttivi per la terza. La costante tra il passaggio da un’era all’altra è la perdita, da parte dei lavoratori, delle capacità individuali per la realizzazione di un prodotto, e quindi la perdita della conoscenza del processo produttivo, questo perché, con le nuove discipline dell’industrialismo, l’operaio deve eseguire solo pochi compiti sempre uguali, diventando esso stesso parte della catena di produzione.
Non abbiamo però nessuna nuova invenzione che possa essere assunta a simbolo dell’Industria 4.0. Questa grande trasformazione in atto, è dovuta a tutta una serie di applicazioni tecnologiche dall’alto tasso di automazione che hanno un forte impatto sui sistemi di produzione, e non solo.
Ci sono vari motivi che differenziano questa rivoluzione dalle precedenti.
Un primo motivo è la velocità dei cambiamenti. Se nella prima rivoluzione industriale sono stati necessari circa 80 anni perché abbia potuto produrre tutti i suoi effetti. La seconda circa 50 anni, e la terza circa 30 anni: quest’ultima invece, si sta abbattendo sulla realtà e sulle vite delle persone, con la violenza di uno tsunami. Questa velocità nei cambiamenti costringe i governi a promulgare riforme del mercato del lavoro che cancellano diritti acquisiti dalle lotte degli anni passati coinvolgendo in queste scelte, sindacati e organizzazioni padronali. Allo stesso modo, vanno riformate altre strutture, come la scuola, che deve sempre di più adeguarsi ai cambiamenti di mondo del lavoro. Lo stesso accordo sottoscritto in Germania dall’IgMetall, accordo ambivalente, che da un lato riduce (secondo determinate condizioni) fino a 28 le ore di lavoro, dall’altro le porta fino a 40 ore (aumento subordinato alla sola volontà del lavoratore), è un accordo, che letto, in un’ottica diversa, diventa un grimaldello atto a portare, in futuro, un’estrema flessibilità nella gestione della vita lavorativa dei dipendenti; flessibilità che l’industria 4.0 richiede.
Una seconda differenza riguarda la portata: in pratica questa rivoluzione non è limitata ad un solo ambito, ma invade moltissimi altri settori, sia direttamente che indirettamente: in altre parole questa rivoluzione non si limita a modificare il solo settore manifatturiero, ma invade anche altri settori, come quelli dei servizi e dell’educazione.
Un’ulteriore differenza risiede nella qualità dell’innovazione, che non riguarda solo i prodotti, ma anche i sistemi: se pensiamo a piattaforme come Airbnb o Uber, non sono prodotti ma sistemi nati per rispondere a specifiche esigenze delle persone. Piattaforme che non rimodellano solo l’offerta, ma anche le nostre abitudini.
In pratica si è di fronte a un cambiamento molto diverso rispetto agli altri, perché questa rivoluzione non cambia solo ciò che facciamo, ma cambia anche ciò che siamo, ha impatto sia sulla riorganizzazione del lavoro ma anche sul sistema sociale, il che comporterà anche una modifica della domanda e dell’offerta di competenze e ruoli professionali.
Diffondendosi in tutti i campi permetterà di ridisegnare equilibri e gerarchie, dematerializzando e deterritorializzando, in tutto o in buona parte, produzione e consumi. Se pensiamo a una piattaforma come Airbnb, che ci permette di prenotare una casa vacanza in qualsiasi parte del modo, o piattaforme varie per la prenotazione di Hotel, ecco che cambiano le nostre abitudini perché non ci rivolgeremo più all’agenzia del quartiere o del paese, ma ad un’azienda con sede nella Silicon Valley.
Molti industriali e manager pensano che questa sia una nuova occasione per migliorare il proprio business, un modo per fare più profitti: invece questa rivoluzione avrà forti ripercussioni sui modelli di business stessi, rimodellandoli e generandone di nuovi. Cambiando la divisione del lavoro, potrebbe spazzare via intere categorie di piccoli imprenditori di “classe media”, come i noleggiatori di auto o i taxisti tramite i server di Uber, o librerie e piccoli commercianti, con i server di Amazon, e, se pensiamo a un’espansione del car sharing (prendendo come esempio l’espansione del bike sharing a Torino), in un futuro prossimo potrà cambiare l’ecosistema urbano, trasformando anche i nostri bisogni. Un domani potranno non esserci più possessori di automobili.
(Fine prima parte)
Nelle successive parti, scenderemo nel dettaglio su alcune di queste tecnologie che sono a supporto di questa rivoluzione, come i Big Data, i CBS, i Cyber-physical System, gli algoritmi, il WCM (che in casa Fiat, ha gettato le basi per l’Industria 4.0), ma anche quale potrebbe essere il futuro del lavoro, quali i mestieri che potrebbero sparire, quale sarà il futuro dell’umanità con lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.
[1] L’additive manufacturing è un insieme di tecniche e tecnologie di fabbricazione in cui il prodotto finito è formato senza la necessità di lavorazioni quali asportazione, taglio, foratura. Con questa tecnica, il materiale viene apportato punto a punto, strato su strato, in base al modello originale, in modo analogo a quanto accade per la stampa digitale di un documento. Proprio da ciò deriva l’ormai popolare termine di “Stampa 3D”, con la quale viene universalmente identificata.